Questa scheda sulla caccia nelle Valli di Comacchio e' tratta dal libro che trovate tra le offerte
di Anatidi.it: “Le Valli di Comacchio - Una caccia d’altri tempi” di Gianluigi Bocchi.
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Introduzione
Non ho la pretesa di scrivere un’opera vibrante della poesia presente nei
racconti di valle di Francesco Serantini, e neppure di comporre un
trattato scientifico come quello di Arrigoni Degli Oddi, ritenuto in
Italia il cacciatore più insigne e l’ornitologo più competente. Il mio
proposito è quello di mettere a punto, partendo soprattutto dalla mia
esperienza personale, un manuale sulla caccia di valle che possa essere
utile ai cacciatori e a chi aspira a diventarlo. E non uno sterile manuale
ricco solo di regole e nozioni tecniche, ma un libro che riesca anche a fare
trapelare le profonde emozioni che questa tipica forma di caccia suscita in me
e delle quali vorrei rendere partecipe il lettore. In questa zona umida particolare,
l’ambiente e le consuetudini condizionano duramente la tecnica e la specializzazione
venatorie. Ne risulta un tipo di caccia unica in Italia e al Mondo. Il titolo del libro
“Le Valli di Comacchio - Una caccia d’altri tempi” deriva dal fatto che, a distanza di
secoli, le tradizioni, gli usi e i costumi venatori sono rimasti pressochè uguali. Ed
ecco le principali caratteristiche della nostra “ars venandi”:
raggiungiamo con barche tradizionali a remi sia gli appostamenti al largo sia quelli
sui dossi (isolotti di varia forma e grandezza). In quest’ultimo caso, per guadagnarci
un posto, ingaggiamo una gara non solo fra noi, ma anche contro le avversità atmosferiche
(nebbia, vento, ghiaccio ecc.). Il più forte ed esperto caccerà nel dosso migliore.
Al posto dei remi, nelle acque basse usiamo come mezzo di propulsione il tipico paradello,
un sottile palo biforcuto lungo circa tre metri.
I posti-caccia al largo presentano grandi giochi di stampi e sono mediamente distanti uno
dall’altro più di un chilometro.
Affondiamo il battello sotto il pelo dell’acqua per nasconderlo alla vista delle anatre.
Utilizziamo imbarcazioni da caccia superveloci. Lo dimostra il fatto che abbiamo già vinto
otto edizioni su dieci di un insieme di regate che si svolgono annualmente (foto in basso).
Queste gare si disputano fra tredici località lagunari: Venezia, Goro, Ischitella, Chioggia,
Lesina, Bolsena, Fondi, Sestri Levante, Varano, Sabaudia, Marsala, Massaciuccoli e, naturalmente, Comacchio.
Nel testo ho usato frequentemente la parola “uccelli” col significato di anatre, perché a Comacchio la
loro importanza le fa considerare gli uccelli per eccellenza.
Mi sentirete spesso fare riferimento all’ “estinzione” dei Moriglioni (Magassi) del 1982. Non si tratta
certo di una vera e propria estinzione di questa specie, ma solo della sua graduale scomparsa dal nostro
ambiente vallivo. Il 1982 rappresenta un punto di svolta netto fra una caccia più facile su Moriglioni
e Folaghe che svernavano a migliaia nelle nostre valli e una caccia nuova, ben più complessa e difficile,
in relazione a una fauna diversa e rarefatta. Molti cacciatori, abituati a un carniere raggiunto
spesso con poca fatica, non hanno saputo adattarsi alla nuova situazione venatoria e hanno appeso
il fucile al classico chiodo. Sono rimasti i più forti e appassionati!
I nomi dei dossi della valle, dei posti-caccia, delle razze di anatra, dei Volantini (1) ecc., sono
stati scritti con l’iniziale maiuscola per sottolineare il valore che essi hanno per me.
Le Valli di Comacchio
Le lagune sono bacini costieri che presentano una circolazione libera con il mare permettendogli
di entrare (flusso) durante l’alta marea e di defluire (riflusso) durante la bassa marea. Le valli
(vallum = recinto) invece sono aree d’acqua salmastra delimitate da opere fatte dall’uomo: argini,
canali e chiuse attraverso le quali viene immessa, all’occorrenza, acqua salata dal mare Adriatico o
dolce dal fiume Reno. Sono grandi distese d’acqua a basso fondale (due metri al massimo) solcate da
dossi, residui di cordoni dunosi formati da vecchi rami del Po. Di quando in quando sui loro argini si
erge un antico casone di servizio. Prima delle bonifiche, iniziate nel 1870 e terminate nel 1966, le Valli
si estendevano dal Po di Volano a nord fino al vecchio Po di Primaro a sud, dalla Strada Romea a est fino
al Polesine di San Giorgio a ovest, per un totale di oltre 40.000 ettari.
Lo scrittore romagnolo Francesco Serantini esprime grande tristezza per lo scempio di quelle bonifiche nel
libro "Addio alle valli".
<< [...] Sono andato a dire addio alla valle del Mezzano, anche la valle del Mezzano non c’è più perché
l’ànno asciugata. [...] Chi ce l’avrebbe detto quando eravamo in tinella, sperduti nella tua immensità,
che te ne saresti andata prima di noi? Tu che eri sulla faccia della terra da millenni, da quando ti
chiamavi Padusa ed il Po, disarginato e sfrenato come un cavallo brado, si riversava in te mescolando le
sue alle acque degli altri fiumi, sicché non si capiva dove fosse il mare. “Septem maria”, i sette mari,
ti chiamò Plinio che ti vide. [...] Dall’argine d’Agosta che ti tagliava in lungo, e su cui adesso corre
la strada, ti ò veduta asciutta ed è stato come se contemplassi pietosamente una morta. La tua distesa si
slarga ancora a perdita d’occhio ma non è più la cerulea maestà dell’acqua, è un deserto inerte di erba
rugginosa, un deserto senza vita e senza anima. [...] Il Mezzano era intorno ai ventimila ettari, dicono che
ad asciugarlo è costato sui 3 milioni per ettaro: un funerale di lusso ti ànno fatto, povera cara valle, un
funerale degno della tua nobiltà più volte millenaria. [...] E le tre valli superstiti le lasceranno campare?
Tempus edax homo edacior: l’uomo è più divoratore del divoratore tempo. [...] >>
Oggi sono rimasti oltre undicimila ettari di valli. Qualcuno spesso mi domanda se l’acqua della valle è dolce
o salmastra. “È molto più salata di quella del mare” - rispondo - “perché è più concentrata, specialmente
d’estate.” Il complesso vallivo è formato da quattro valli principali: Fattibello (oasi di protezione), Campo,
Fossa di Porto e Vacca, queste ultime due separate dalla Penisola di Boscoforte. Questa lingua di terra di 200
ettari che, partendo dall’argine sinistro del fiume Reno, si allunga verso nord ed è interrotta a tratti da
piccoli specchi d’acqua dolce che si alternano a slarghi più ampi, offre rifugio a parecchie specie di anatre.
Nel 1996 l’azienda venatoria di Boscoforte è stata trasformata in oasi di protezione e il territorio interessato
ha subito un notevole degrado ecologico, ma nel 2008 nella penisola è stata riaperta la caccia e i lavori
attuati hanno restituito all’ambiente i connotati originali.
Un ambiente altrettanto importante per lo svernamento dei palmipedi è rappresentato dai 510 ettari delle Saline
di Comacchio che non sono più attive dal 1980.
Un altro serbatoio di anatidi, in maggioranza Germani Reali, è l’Oasi di Fossa di Porto, triangolo di
170 ettari di fitti canneti che ogni tanto lasciano il posto a dossi ricoperti di salicornia e a chiari
(2) di acqua libera. È l’ultimo residuo della bonificata Valle Zavelea. All’ambito vallivo di cui abbiamo
appena parlato bisogna aggiungere i duemila ettari di Valle Bertuzzi (foto in basso) che si estende a sud del
Po di Volano e si divide in Valle Nuova e Val Cantone. L’habitat è rimasto intatto e presenta formazioni
boschive di lecci su due dossi più elevati: il Dosso del Diavolo e del Boschetto Bertuzzi. Nell’acqua, bassa
e limpida, cresce una rigogliosa vegetazione subacquea. Questo paradiso offre rifugio a una gran quantità di
anatre (Moriglioni compresi) che fa la felicità dei suoi proprietari cacciatori.
La caccia nelle Valli di Comacchio
La caccia sui dossi
I cacciatori residenti a Comacchio hanno a disposizione un centinaio di appostamenti, di cui una
cinquantina liberi. Il tempo impiegato per raggiungere i siti prescelti varia da un minimo di quindici
minuti a un massimo di un’ora. I giorni in cui è consentita la caccia sono il giovedì, il sabato e la
domenica. Alle quattro del mattino di ogni giornata venatoria, da sei punti prestabiliti situati ai margini
della valle, prende il via una regata. La finalità della gara è di approdare per primi su uno dei punti-fuoco
liberi situati sui dossi, acquisendone il diritto di caccia per l’intera giornata. Le insidie non giungono
solo dagli avversari, ma anche dalle avversità atmosferiche: pioggia, nebbia, neve, ghiaccio e vento.
Ogni cacciatore, alla partenza, sceglie o meglio ambisce raggiungere un posto sul dosso prestabilito. La
scelta è dettata dalla sua posizione strategica, dalla presenza di avifauna acquatica, dall’intensità e
dalla direzione del vento in quel determinato giorno. Esperienza e conoscenza giocano un ruolo non indifferente.
In ogni caso, quando un cacciatore raggiunge l’approdo, deve eseguire queste operazioni:
costruire un capanno temporaneo, qualora mancasse, o infoltire quello eventualmente presente con erba e
frasche per renderlo il più mimetizzato possibile, preoccupandosi anche che lo stesso non sporga troppo
dalla vegetazione circostante;
calare gli stampi che al termine della giornata dovranno, per regolamento, essere rimossi. Considerando
che in estate e all’inizio dell’autunno gli uccelli indossano ancora l’abito eclissale, senza colori vivaci
e livree di sorta, sarà buona norma usare, in questo periodo, stampi di sole femmine;
collocare i richiami vivi in acqua e i Volantini nel capanno.
Fin da giovane ho cacciato sui dossi. Per vent’anni ho gareggiato tutte le notti sottoponendomi a
levatacce che solo una passione “indecente” come la mia poteva farmi sopportare. Mi tornano alla
mente le prime Folaghe e anatre uccise, la prima regata vinta e alcuni posti-caccia cambiati nel tempo.
Poi ho cominciato a innamorarmi perdutamente della caccia al largo e a distaccarmi
piano piano da quella sui dossi. Negli ultimi tempi però ho fatto spesso ritorno alle “mie radici”.
La caccia al largo
La nostra caccia al largo rappresenta, senza timore di smentite, l’università delle cacce ai
palmipedi. In primo luogo perché si pratica in uno specchio d’acqua molto esteso che non offre
punti di riferimento (valle bianca) e dove è molto difficile valutare le distanze. Marcello Dradi,
campione di tiro al piattello, spesso racconta dello shock subito durante la prima esperienza venatoria
a Comacchio. A differenza della caccia cui era abituato, in piccoli chiari, si trovò all’improvviso perso
in quella enorme distesa, senza potere contare sulla vegetazione, punto di riferimento importante per la
valutazione del tiro.
Un altro aspetto di particolare complessità e unicità legato a questo tipo di caccia è dato dalla varietà
delle specie interessate. Specie che hanno tutte distinti comportamenti. Le difficoltà aumenteranno di pari
passo con le soddisfazioni. I miei amici Fabio e Amilcare sono arrivati a uccidere in una sola giornata ben
nove razze diverse di anatre. Per aver successo nelle nostre valli bisogna fare ricorso alla scaltrezza
venatoria e a un’esperienza decennale supportate da una passione incrollabile. Ma tutto questo non c’impedirà
di scivolare sulla classica buccia di banana. Ci alzeremo troppo tardi su un branco di Moriglioni, spareremo
a dei Germani Reali che si sarebbero avvicinati di più e non tireremo a dei Fischioni che non si faranno più
vivi. Ci capiterà anche di padellare (4) un uccello che immaginavamo già in pentola. Per tutto ciò, essendo
impossibile non commettere errori, il più forte è e sarà chi sbaglia meno. Questo tipo di caccia così arduo
e complesso non ha niente di scontato, ripetibile, sicuro. Viene così caratterizzato da questa incertezza
che prende il sapore dell’avventura. È a questa “ars venandi” in cui non si finisce mai d’imparare, in cui
mai le anatre si comportano allo stesso modo, in cui mai una giornata è uguale a quella precedente, che sarà
dedicata quest’opera.
Le imbarcazioni da caccia comacchiesi
El vulicèpi (il velocipio): è il nostro missile lagunare, capace di percorrere un chilometro in
soli quattro minuti. La tecnica di voga, una delle più antiche e impegnative, è quella alla vallesana
in cui due rematori, stando in piedi sul battello, lo sospingono in avanti facendo forza sui remi
incrociati. Non viene usato solo dai cacciatori per raggiungere le postazioni migliori, ma anche
(soprattutto in passato) dai fiocinini, pescatori di frodo, e dai guardiani vallivi. In estate poi
acquisisce il valore di simbolo della nostra cittadina nelle regate sportive che si svolgono sul
Canale Navigabile che collega la città di Ferrara al mare. Il velocipio è il risultato di un’esasperata
evoluzione della barca ottenuta modificandone dimensione e struttura allo scopo di renderla più veloce
possibile. Per la valle, fino a pochi anni or sono, si poteva adoperare tutti i giorni di caccia, oggi
solo la vigilia dell’apertura. Le sue misure sono: 8 m di lunghezza per 46-48 cm di larghezza. Il
velocipio può anche ospitare tre persone. In questo caso è rapidissimo nel Canale Navigabile, ma
diventa meno veloce quando solca i bassi fondali delle nostre valli. Il fondo è piatto e non presenta
alcun tipo di chiglia. Per questo motivo, se non si è saliti su un battello come questo fin da giovani,
avendo quindi acquisito un ottimo grado di equilibrio, alla prima remata, ve lo assicuro, ci si ribalterà
suscitando le risate degli spettatori.
El vulicipién (il velocipino): è anche questa un’imbarcazione da gara molto veloce usata per raggiungere
i dossi, ma, a differenza del velocipio, può essere adoperata tutto l’anno. Date le minori dimensioni
(5,50 m per 46 cm) può ospitare un solo rematore. Anch’esso ha il fondo piatto adatto a navigare meglio
su un fondale basso e incostante.
Le betenine (la batanina): quando i primi soffi di tramontana raffreddano le acque della valle e la loro
altezza aumenta per la pesca dell’anguilla, è tempo di abbandonare il velocipino e lasciare il posto, per
le regate, alla batanina. Questa barca, come si può intuire dalle dimensioni stesse (6 m per 60 cm), è più
sicura. Mi sembra necessaria a questo punto una breve digressione sulla pesca a Comacchio. Secondo una teoria
consolidata il luogo di riproduzione delle anguille è il Mar dei Sargassi. Qui, dopo aver deposto le uova,
esse muoiono, mentre le loro larve intraprendono la via del ritorno al luogo d’origine. Questo incredibile
viaggio può durare la bellezza di tre anni. Le anguille rimangono nelle nostre valli fino al tredicesimo anno
d’età, cioè fino a quando diventano mature sessualmente. È giunto il momento della pesca. La prima burrasca
d’autunno porta il respiro del mare all’interno delle valli. Le anguille argentate sentono insopprimibile il
desiderio di partire, abbandonano le loro tane, si affollano nei canali d’uscita, s’imbattono nei lavorieri.
Queste macchine da pesca infernali sono strutture a forma di V che si restringono metro dopo metro. Una volta
entrate, le anguille e l’altro pesce di valle, branzini, cefali, passere ecc. sono in trappola! Torquato
Tasso (XVI secolo) nella “Gerusalemme Liberata” descrisse così la pesca a Comacchio:
Come il pesce colà dove impaluda
ne i seni di Comacchio il nostro mare,
fugge da l’onda impetuosa e cruda
cercando in placide acque ove ripare,
e vien che da se stesso ei si rinchiuda
in palustre prigion né può tornare,
che quel serraglio è con mirabil uso
sempre a l’entrare aperto a l’uscir chiuso.
El memelúch (il mamalucco): è la classica imbarcazione da caccia che ci permette di raggiungere qualsiasi
sito della valle, che può essere nascosta sott’acqua e poi agevolmente riportata a galla. Le sue misure
sono 5 – 5,50 m di lunghezza per 70 – 80 cm di larghezza. Le sponde sono alte dai 40 ai 50 cm. Un tempo,
quando l’ambiente era più sicuro, le sue dimensioni erano più ridotte.
Le imbarcazioni suddette verranno, prima del periodo di caccia, verniciate internamente e resinate
esternamente nei punti più usurati. Anche i remi (impugnature delle mani escluse) dovranno essere pitturati,
così come le forcole (scalmi della barca), ma non il paradello, che diventerebbe troppo scivoloso.
Che dolce sensazione scivolare silenziosamente su un battello comacchiese, varcare una secca con l’ausilio
del paradello, mentre i muscoli sembrano scoppiare, costeggiare l’argine di un canale o un dosso spruzzato
di salicornia e limonio. È un modo di muoversi nella natura molto coinvolgente che moltiplica le possibilità
di incontri inattesi a tu per tu con l’avifauna. È in questo silenzio irreale, interrotto a volte dal fischio
di una pettegola, dal lamento di un chiurlo, dalle grida di un gabbiano o dai baci di un beccaccino, che si
può godere appieno dei colori, degli odori, dello spettacolo, della poesia e della magia della valle!
Nel video seguente viene mostrato il metodo per nascondere imbarcazioni comacchiessi, immergendolo accanto alla Tina e bloccandolo sotto la Cavariaga, l'insieme
dei pali sommersi che servono proprio a questo scopo.