I racconti dei cacciatori di acquatici
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C'era una volta la caccia ai Pivieri e Pavoncelle di Raffaele Piccioli
Come al solito la grossa sveglia suono' che io ero gia' sveglio da un pezzo. Del resto la caricavo per precauzione e non ricordo una sola volta che il suo rumoroso scampanellio mi avesse colto addormentato.
Appena spalancate le imposte a strologare il tempo, queste furono rinchiuse da una folata salmastra e piovigginosa. Lontano si udiva lo sferragliare del treno: levante.
Non poteva desiderarsi tempo migliore per la caccia a pivieri e pavoncelle. La perturbazione aveva colpito la costa Adriatica gia' dalla sera precedente e noi che tutte le sere, subito dopo la cena, eravamo soliti uscire di casa per ascoltare la voce di qualche migratore, ne avevamo avuta la gradita conferma: il pliiii dei pivieri era risuonato piu' volte dalla volta fosca del cielo. Quindi subito a letto per quel dormiveglia di due o tre ore che sonno non e', ma egualmente sufficiente al tempo dei nostri indimenticabili vent'anni.

Levatomi alla svelta dal letto, una sciacquata fredda al volto, vestitomi mentre il caffe' d'orzo si scaldava, oltre alla cartuccera da trenta occorreva portare altre cartucce, necessarie in quel tempo felice, e le sceglievo con la mano che indugiava nel cassetto del como', producendo quel rumore caratteristico ed indimenticabile, come se si rimescolassero le noci in un sacchetto.
Sceso quindi a pianterreno, indossata la cerata mimetica, il fucile e l'ombrello verde a tracolla, caricata sul portapacchi del Guzzino del babbo la cassetta degli stampi e la cerignola delle pavoncelle vive, via sulla strada fangosa malamente illuminata dalla fioche luci dei lampioni, verso il Campo.

Deposto il motorino al riparo della tettoia di un pagliaio, per arrivare al mio capanno occorreva percorrere a piedi qualche centinaio di metri.
Durante il tragitto levai diversi pivieri e beccaccini in pastura e cio' naturalmente accrebbe la mia agitazione, in quanto mi rendevo conto di essere in procinto di vivere una memorabile giornata.
Nel frattempo la pioggia era quasi cessata ma si udiva lontano l'ululato del mare aizzato da un poderoso vento di levante.
Finito di tendere, legate alle leve le pavoncelle accodate, disposti i fischietti sulla mensolina di legno, mentre l'alba schiariva, mi accinsi ad iniziare quella attenta osservazione del paesaggio circostante che e' una vera esaltazione dei sensi ed e' prerogativa fondamentale per non essere presi alla sprovvista dai selvatici. Intanto gia' le prime scariche tuonavano in altri appostamenti e il mio stato di allerta crebbe, se possibile, ancora di piu'.
Ad un tratto ecco il pliii ben noto, intravedo con la coda dell'occhio un grosso branco di pivieri sul fiume, do mano allo zimbello, la pavoncella accodata si alza elegante, sembra un grosso fiore bianco e nero che apre e chiude i suoi petali. Il fischio di terracotta e' in bocca, emette quel pliii accorato che attende la risposta dei fratelli. E questi rispondono, han visto la pavoncella palpare, ora anche gli stampi, si avvicinano ma stanno ancora alla larga, due tre giri intorno alla tesa, prendono il vento..al plii sostituisco il plio plioi piu' basso, malioso, fermi per carita' gli zimbelli, guai se facessero uno svolazzo, sarebbe un branco perduto. Tutto si svolge secondo le regole imparate in anni di tesa e di attesa, quando bambino passavo i miei giorni piu' belli nella caccia con le reti ai trampolieri di alcuni miei parenti. I pivieri, un grosso stormo, ora sono li' sul fiore del tiro, bisogna sparare e la scarica dell'automatico Benelli non si fa attendere ed e' coronata dal successo tanto atteso.
Cosi' fino al tramonto, quando termino' quella memorabile giornata, allora una delle tante da me vissute sia per la varieta' della selvaggina che per la consistenza dei carnieri e soprattutto per il senso di sconfinata liberta' che ha saputo darmi, piu' di ogni altra cosa, la smoderata passione della Caccia.

Oggi spesso ripenso nostalgicamente a quegli indimenticabili anni ma il rimpianto viene in parte addolcito dalla consapevolezza di aver pienamente fruito di quella che e' stata l'eta' migliore della mia vita.
Oggi che su tutto il terrritorio italiano si assiste ad una forte diminuzione delle pavoncelle di passo e conseguentemente appaesate, occorre fare di necessita' virtu' adoperando giostre azionate da batterie, alcuni purtroppo anche da strumenti proibiti, pero' io che ho vissuto sin da bambino nei capanni dei paretai e praticato poi dal 1956 con regolare licenza, esclusivamente la caccia ai trampolieri, posso affermare con cognizione di causa che la Caccia classica era quella che si praticava con le pavoncelle accodate alle leve, gli stampi in penna ed i richiami a bocca.
Questa era veramente l'universita' del cacciatore, il quale, solo nel suo piccolo appostamento nella grande pianura, si apprestava ad insidiare i migratori che allora passavano numerosissimi da Settembre ad Aprile ed altrettanto numerosi sostavano nelle mie piane nei mesi invernali.
Ogni particolare veniva curato al massimo e nulla veniva, come si fa oggi, lasciato al caso: la particolare conformazione del terreno in cui praticare la minuscola buca dove ricavare l'appostamento, la disposizione degli stampi in penna, ogni volta diversa a seconda dello spirare del vento, della sua maggiore o minore intensita', della condizione atmosferica di pioggia o sereno, della maggior o minore propensione dei selvatici a curare a seconda se di puro passo o appaesati od incalzati dal maltempo. Una volta disposti gli stampi il cacciatore entrava nella buca ed iniziava quella attenta osservazione del cielo allo scopo di individuare i selvatici il piu' lontano possibile con l'udito pronto a percepire il piu' lontano fischio. Vera esaltazione dei sensi e dei nervi. Avvistati i selvatici iniziava quella competizione avvincente fra l'uomo primitivo che per bisogno naturale tenta di impadronirsi del selvatico e quest'ultimo che prova a sfuggirgli mettendo in atto le difese di cui la natura l'ha mirabilmente dotato.

Chi ha praticato questa Caccia o soltanto chi ha veduto come si "tiene" con le leve ed il fischio un grande stormo di Pavoncelle poco propenso e timoroso ad entrare nel gioco, capisce quello di cui sto parlando: sono momenti magici, in cui un nulla puo' compromettere il tutto: uno svolazzo della pavoncella accodata, uno sparo lontano, addirittura una variazione impercettibile dell'umore dei selvatici che curano e tutto finisce col branco che svanisce nella foschia delle distanze e noi che con la vista, lo seguiamo desolati.
Oppure, al contrario l'incomparabile emozione dello stormo che "degna", cura, i selvatici allungano le gambe, si apprestano a posarsi nello spiazzo che abbiamo loro riservato fra i simulacri dei loro simili.
Questo e' il degno coronamento dell'azione venatoria, prescindendo anche dalla copiosita' o meno del carniere: e' incomparabile la soddisfazione che offre uno stormo di pavoncelle, selvatico oltremodo furbo e diffidente, condotto dalla nostra abilita' venatoria a posarsi a pochi passi.
Sono convinto che in questi casi, che ai tempi della mia giovinezza si ripetevano con frequenza quotidiana, piu' che di passione o abilita' venatoria, si possa benissimo parlare di Arte, dalla quale anche io ho avuto l'inestimabile fortuna di esserne stato contagiato.



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