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Racconti di padule e di vita vissuta di Renzo Fedi
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Dedico questi scritti al Padule della Diaccia Botrona mia maestra di vita, alla caccia, agli uccelli acquatici,
al meraviglioso mondo della Natura selvaggia, agli uomini che, come il sottoscritto, con amore e determinazione,
ancora oggi, contribuiscono a tenere alto l’onore e la voglia di essere maremmani.
MEMORIE DI PADULE
Nel 1980 , dopo anni di sacrifici , finalmente la laurea in giurisprudenza.
Così si concludeva la mia avventura scolastica che tra il 1969 ed il 1974, era trascorsa presso il Collegio
Calasanzio di Empoli presso i Padri Scolopi e poi , dal 1975 all’80 presso l’Università di Siena.
Faccio questa premessa perché in tutti questi anni i miei pensieri di libertà e di evasione erano sempre
rivolti alla caccia , specialmente a quella di padule , oltre che , naturalmente , alle signorine che abbondavano
nell’ambiente universitario .
I miei ricordi , infatti , si perdevano nei racconti di epiche imprese venatorie che alcuni amici del mio babbo
erano soliti fare durante gli inviti che egli , veterinario condotto nel Comune di Civitella Paganico , riusciva
ad ottenere nelle bellissime riserve del posto.
Ricordo ancora con piacere i grossetani Pucci e Jacobetti ( informatore medico il primo e veterinario capo il secondo),
l’imprenditore Derio Agnoletti , scomparso da alcuni anni ( che poi ho accompagnato – molti anni dopo – in botte nel
padule della Diaccia ) ed altri personaggi che ,con i loro racconti , contribuivano ad infiammare il mio desiderio di caccia .
La passione per il padule , che porto dalla nascita nel mio dna , esplose definitivamente nel marzo del1973 quando ,
al mio primo porto d’armi , fui invitato dall’amico Fabrizio Fralassi di Paganico a cacciare le marzaiole sul mare
a bocca d’Ombrone davanti al padule della Trappola .
Noi eravamo due ragazzotti , ma il fratello di Fabrizio , Beppe , oggi noto chirurgo dell’ospedale di
Massa Marittima , già medico e discreto cacciatore , ci fece sistemare sulla battigia del mare , quel
giorno calmissimo dato il vento di tramontana , in un appostamento fatto tra il misto di una trincea
di sabbia ed alcune ramaglie di pino secco recuperate fortunosamente sulla spiaggia .
Fù una giornata memorabile , anche se non riuscimmo a scaricare il fucile ! Sull’albetta le botti tese
nella riserva della Trappola spararono un gran numero di fucilate e , nel contempo , dal mare ,
entravano ed uscivano diversi branchetti di anatidi e trampolieri che sia Fabrizio che il sottoscritto
non conoscevamo affatto !
Talmente eravamo emozionati da quello scenario per noi nuovo che ci muovevamo in continuazione nello sguarnito
appostamento , tant’è che gli uccelli , a cominciare dai gabbiani , ci vedevano da lontano e ci scantonavano regolarmente .
Questo nostro comportamento certamente favorì Beppe che , ben nascosto ed esperto , riuscì ad
abbattere alcune marzaiole ed un maschio di germano reale .
Ma il “ danno “ ormai era fatto ! Quella caccia , da tanto immaginata per averla sentita raccontare
dagli adulti e letta in qualche sporadica rivista di caccia che all’epoca mi capitava per le mani , era
esplosa dentro di me con una tale forza da non poter essere più dimenticata .
E ritorniamo agli anni 80 .
Dopo il servizio militare, trascorso in Aeronautica presso il 4° Stormo di Marina di Grosseto ,
durante il quale andavo nelle ore di libera uscita nel padule delle tamerici presso le vasche del
Fornaciari , a due passi dalla caserma , ricordo che all’epoca avevo una Land Rover di colore
azzurro come il colore dell’Aviazione in cui tenevo nascosto, illegalmente, una doppiettaccia
calibro 20 smontata ed un po’ di cartucce a piombo grosso .
La sera , così , durante il periodo di caccia , tentavo l’aspetto agli anatidi che rientravano in padule .
Debbo confessare che questa attività mi dava poca soddisfazione e , di conseguenza , anche poco
carniere .
Infatti la “ mia “ caccia , il “ mio “ padule , era la botte , la tesa , il barchino , il colore dell’alba , il
suo profumo …i suoi canti !! E poi anche il fatto di non essere in regola con la legge , mi infondeva
un senso di uggia e di fastidio che non mi faceva stare bene come volevo io .
Tant’è che nel 1982 , dopo il congedo , decisi di dedicare tutto il periodo venatorio alla mia grande
passione : la caccia in botte .
Così , essendo socio dell’area a regolamento specifico del padule della Diaccia Botrona già da
alcuni anni , ebbi modo , in quel periodo , di prenotarmi tantissime volte alla caccia di botte .
Fù così che diventai , di li a breve , amico dei barcaioli del padule , di Duilio Nicchi , di Ilio
Lucarini , di Renato Mantovani , di Roberto Pucci e di Geremia Faccin , detto Gek che pescava con
i bertivelli le anguille e che , data l’età un po’ avanzata , soffriva più di tutti le fatiche del barcaiolo .
Io aiutavo spesso i barcaioli nel loro lavoro , cercavo di alleviare le loro fatiche chiedendogli di
sostituirmi a loro nella conduzione del barchino ed a costoro , specialmente Gek , non gli pareva il
vero, specialmente al ritorno della caccia , quando la stanchezza si faceva più forte .
Gek tendeva la fila n. 4 , cioè quella più a mare , la meno scomoda .
In quel periodo successe che , per ragioni di contrasto tra il Nicchi e Gek , fosse tirata a sorte la fila
ed il suo barcaiolo e la sorte non aiutò Gek a cui era toccata la fila delle botti più disagevole , la n.
12 !!
Apriti cielo ! Gek sembrava il diavolo tanto inveì sul Nicchi colpevole , a dir suo , di essere stato il
responsabile dei suoi guai e , dalle parole i fatti , Gek dette le dimissioni da barcaiolo !
La sera di quel fatidico giorno , credo di Novembre inoltrato , all’ora di cena , mi telefonò Gek per
dirmi che aveva lasciato il suo posto e , se avevo intenzione di sostituirlo , di telefonare subito al
Rosini Aronne , responsabile dei sorteggi , per confermare il mio impegno già dalla mattina
successiva .
Acconsentii , non mi pareva il vero ! Avevo toccato il cielo con un dito ! Mi sembrava il
coronamento di un sogno a cui avevo pensato mille volte ma che non avevo il coraggio di esternare
Molto probabilmente Gek lo aveva intuito ed in quell’attimo di collera , responsabilmente verso i
cacciatori che avrebbero subito dei disagi per la sua decisione , pensò al sottoscritto , ritenendomi
pronto a raccogliere questa sua “ eredità “ .
Telefonai subito al Rosini e gli offrii tutta la mia disponibilità e serietà .
Aronne Rosini , diventato poi un grande amico , oggi purtroppo scomparso , rimase un po’
perplesso , mi riteneva troppo giovane ed inesperto per quel lavoro duro e faticoso , consigliandomi
di non accettare . Ricordo che insistetti talmente tanto supplicandogli di mettermi alla prova che
Aronne non potè far altro che acconsentire .
Il sogno si era realizzato !! Da domani non sarei stato più un giovane anonimo cacciatore di botte ,
un ragazzotto indegno delle attenzioni e del rispetto dei “ vecchi padulai “ ma sarei diventato un
barcaiolo , uno dei 4 professionisti del padule , avrei dato disposizioni ai più esperti , avrei avuto
delle grosse responsabilità , tutti mi avrebbero conosciuto e , se ne fossi stato capace , stimato e
rispettato ! Ed era ciò che volevo .
Quando la mattina successiva , naturalmente dopo una notte insonne , giunsi al rialto di caccia delle
Marze , nella casetta gli altri barcaioli mi accolsero con molta freddezza tant’è che il Nicchi , noto
per il suo carattere duro ed estremamente burbero , diagnosticò pubblicamente che non ce l’avrei
fatta e che mi sarei dimesso subito . Non dissi nulla , ma l’avrei ammazzato !! Sentii dentro di me
un sentimento di rabbia condito anche dal fatto che quegli uomini , più vecchi ed esperti , mi
consideravano un signorino , tant’è che , avendo saputo del mio titolo di studio , mi chiamavano l “
avvocato “ . Ma non mi feci impressionare , troppo forte era il mio desiderio , il mio amore per
quell’ambiente e per la caccia da farmi rinunciare a quella vita che avevo scelto volontariamente .
In effetti i primi giorni furono davvero duri : la mancanza di allenamento , i muscoli non ancora
pronti ed elasticizzati allo stanghino , il tronco ancora rigido , e l ‘ inesperienza nel condurre a
dovere un chiattino con 4 cacciatori equipaggiati di tutto punto nel mezzo dell’intemperie invernali
per diversi km dentro il padule mi portarono ad una profonda stanchezza ma mai alla volontà di
abbandonare ! Avrei preferito schiantare prima di dare soddisfazione a quelli che avevano
pronosticato il mio cedimento ! Avrei perso il rispetto di me stesso , non era possibile tornare
indietro .
E così fù .
Tanti sono i ricordi che per circa 10 anni hanno caratterizzato questo bellissimo periodo della mia
vita , ogni giornata di caccia o di lavoro in padule varrebbe la pena di essere raccontata tanto è stata
piena di fascino e di sensazioni bellissime , ogni cacciatore che ho conosciuto , e ne ho conosciuti
tantissimi , nel bene e nel male mi ha insegnato qualcosa .
Alcuni volti , ogni tanto , specialmente nelle nottate invernali di forte vento di mare e di pioggia che
mi tengono sveglio , mi ritornano in mente all’improvviso , così come certi episodi particolari che
sono rimasti indelebili nella mia mente . Ma , tra i tanti , c’è un uomo che ricordo con più curiosità e
rispetto , un uomo di cui durante gli anni del padule ho sempre sentito ricordare dai più vecchi e che
personalmente ho conosciuto un giorno al rialto delle Marze nell’inverno del 1983 : il suo nome era
Albo Morelli.
Avevo sentito parlare di Albo come un grande barcaiolo e cacciatore di padule . Non passava
giorno di caccia che i più vecchi padulai , specialmente durante la stanghinata di ritorno , non
parlassero di lui , citando fatti , avvenimenti o racconti dove Albo era sempre l’indiscusso
protagonista delle vicende , vere o false che fossero state .
Tra i tanti pregi e difetti che gli venivano attribuiti certamente uno non lasciava dubbi sulla
veridicità : Albo era un gran bevitore , un indomabile tracannatore di alcolici !
Ma d’altronde è concepibile pensare che un uomo nato nei primissimi anni del ‘900 e sempre
vissuto in padule ed in mare a far da cacciatore e pescatore , trovasse nell’alcool un sano rimedio a
quella vita di stenti e di fatiche fatta di malaria e tanta miseria .
La storia che mi piace raccontare mi è stata trasmessa da un caro amico grossetano , grande
appassionato cacciatore di botte , Francesco Solimeno , detto “ Cecco “.
Si narra che diversi anni prima , quando Albo Morelli era il capo dei barcaioli della Diaccia , spesso
e volentieri , per smaltire i fumi delle sonore bevute serali , forse per evitare le giuste ire dei
familiari , era uso dormire nella casetta presso il rialto delle Marze , così da farsi trovare pronto dai
cacciatori all’ora predisposta per la partenza per le botti .
Pare fosse stata una nottata di profondo inverno , forse un gennaio od un febbraio caratterizzato da
un forte freddo preceduto da abbondanti nevicate che avevano imbiancato anche la maremma
costiera . La pineta si presentava , per chi giungeva dalla strada che da Castiglione và a Marina ,
come una vasta distesa di neve ghiacciata scintillante al chiarore della luna e delle stelle .
Un cacciatore , il primo , aveva parcheggiato la sua auto all’inizio della pineta e poi si era
incamminato verso la casetta a luce spenta data la conoscenza del tragitto ed il chiarore della fredda
notte . I soliti pini , le solite buche sul terreno , i soliti cespugli di mortella , di lentisco e rosmarino
accompagnavano da sempre il tragitto del cacciatore .
Dev’essere sembrato davvero strano a costui notare sotto un pino , accanto alla casetta di caccia , un
ammasso luccicante incomprensibile ed inconsueto !
Per un attimo il cacciatore , solo nella vasta pineta , ebbe un attimo di esitazione e si fermò per
meditare sul da farsi , deciso , forse , anche a caricare il suo fucile qualora vi fosse un pericolo reale,
ma poi decise di accendere la “ lucciola “ che teneva sempre in tasca : così si avvicinò a quella
strana sagoma .
Quando vi fù vicino si rese conto che si trattava di un uomo che , avvolto in un rudimentale
cappotto sdrucito e ad un cappellaccio, stava raggomitolato ed appoggiato al grosso pino . La forte
brinata gli aveva appiccicato la barba incolta e l’immobilità del soggetto fece credere al cacciatore
di trovarsi alla presenza di un morto congelato ! Non restava che abbassarsi di più per poter
riconoscere il malcapitato . Così l’uomo fece .
La sorpresa dovette essere forte quando il vecchio cacciatore si rese conto che quell’ammasso di
carne e stracci era proprio lui : Albo Morelli !!
Credette che fosse morto , ed in fondo , per un attimo , tra lo sgomento e la sorpresa , pensò che ,
tutto sommato , quella era la giusta fine di un uomo tanto duro e selvatico .
Più per scrupolo che per convinzione decise di fare un tentativo e , scuotendo quel corpo ancora
immobile , lo chiamò con quello che era stato il suo nome :- Albo , ALbo , ALBO ,
ALBOOOOO !!
Il corpo si scosse , la testa si rigirò verso la voce del cacciatore , lo vide e nel silenzio di quella notte
incantata , tra il canto del germano e l’urlo del tarabuso , Albo Morelli , soprannominato “ la belva
umana “ emise il suo verso : - un rutto disumano che scosse il padule ; Albo era ancora vivo ,
ubriaco ma vivo e vegeto !!
Si narra che anche quella mattina , nonostante avesse passato la notte fuori della casetta perché ,
ubriaco , non era riuscito ad entrare , riuscì a portare , senza esitazione , i suoi cacciatori alla botte :
uomini di altri tempi !!
Come ho detto conobbi Albo Morelli , se ben ricordo , una mattina di novembre del 1983 , al
ritorno dalle botti . Era stato portato al rialto da Giorgio Cencini , all’epoca dirigente della Provincia
di Grosseto del settore caccia , mio grande amico ed espertissimo cacciatore di padule .
Giorgio mi presentò ad Albo come il più giovane dei barcaioli e , nel dargli la mano , mi sentii
emozionato e lusingato di poter conoscere un così celebre personaggio del mondo del padule .
Albo era ormai un uomo anziano , il suo aspetto fisico era decadente , il viso segnato dal tempo e
dalla incuria , ma gli occhi erano ancora giovani ed attenti , pronti a cogliere la più piccola
particolarità o sensazione .
Ricordandomi che Albo era stato , un tempo , un gran bevitore gli chiesi se desiderasse un “
cicchetto “ di liquore che tenevamo dentro la mensola di legno della casetta di caccia , regalo dei
cacciatori più generosi . Albo non se lo fece ripetere due volte , dimostrando di essere ancora un
bevitore , ed insieme agli altri entrammo nella casetta .
Versai ad Albo un po’ di Stravecchio nel bicchiere , poco meno della metà , pensando che quella
fosse la dose giusta per l’uomo data l’età e l’ora , Albo mi guardò e poi mi disse a metà tra lo
scherzo ed il rimprovero :- << O giovanotto , ti sembra questo il modo di offrire da bere ? Hai paura
che non te ne resti abbastanza ? >> , avvicinando il bicchiere alla bottiglia che ancora avevo in
mano . Compresi e glielo empii fino al traboccamento ! Albo , allora soddisfatto , lo tracannò tutto
d’un fiato .
Dopo quell’occasione non l’ho più visto , so che è morto qualche anno più tardi , a circa 90 anni , in
un ricovero per anziani in cui si era ritirato da tempo .
Con lui è scomparso l’ultimo pezzo della maremma di un tempo , un uomo che è riuscito a
sconfiggere la malaria , la miseria , la fatica , la malattia che lo aveva colpito . Un uomo che aveva
dedicato la sua vita al padule ed al mare .
Quello che avrei voluto fare anch’io.
L’ULTIMA DIACCIA
(In ricordo di ALFIO PIERACCINI)
Un giorno , credo nel dicembre del 1980 , mi trovavo a cacciare nel padule delle Tamerici insieme
all’amico Paolo Almi .
Ricordo che pioveva a dirotto e faceva un freddo cane .
Il 1980 fu , per la caccia di padule , un anno estremamente fortunato e redditizio . Infatti la fredda
stagione aveva portato in maremma una notevole concentrazione di anatre di ogni tipo ,
prevalentemente alzavole che da noi vengono chiamate “ barazzoli “ .
Verso metà della mattinata quando la pioggia , dopo l’incertezza dell’alba , si era fatta consistente ,
mentre Paolo ed io stavamo al coperto del capanno al calduccio di una rudimentale ma utilissima
stufetta a legna costruita con un bidone da olio , vedemmo passare davanti a noi , sull’argine del
padule , un cacciatore .
Costui era talmente bagnato che , indossando un giaccone verde , tipo eskimo , poco impermiabile ,
grondava letteralmente di acqua .
Confesso che ci fece un po’ pena e dopo esserci consultati , lo invitammo ad entrare nel nostro
capanno .
Il cacciatore non se lo fece ripetere due volte ed entrò .
Ci demmo la mano e si presentò come Santo Calò , Sergente Maggiore dell’Aeroporto Militare di
Grosseto , elettricista e grande appassionato di padule .
Dovendo , di li a breve , partire per il servizio militare di leva , approfittai per chiedere
all’occasionale amico se c’era la possibilità di fare il militare presso l’aeroporto di Grosseto . Il
Calò rispose che lui , personalmente , non poteva fare niente ma che avrebbe parlato con un suo
collega Maresciallo e poi mi avrebbe fatto sapere .
Ci salutammo cordialmente ed ognuno ritornò alla propria caccia .
Dopo alcuni giorni ricevetti una telefonata dal Sergente Maggiore Calò che mi diceva di telefonare ,
al più presto , ad un numero e di parlare con un certo Maresciallo Ricci .
Così feci e fù così che nel maggio del 1981 ricevetti la chiamata nell’Aeronautica Militare .
I primi di giugno , dopo un mese di C.A.R. a Taranto ero a Marina di Grosseto ! Non potevo sperare
di meglio .
Telefonai subito al Maresciallo Ricci per ringraziarlo della cortesia e per conoscerlo personalmente
Il Maresciallo Ricci era , allora , un giovane sottufficiale di origini Tarquinesi di cui , giustamente ,
andava fiero ed era da poco sposato con la signora Luciana Pieraccini , figlia , appunto , del mitico
ALFIO PIERACCINI dei Ponti di Badia presso Castiglione !!
Il fatto , che a qualcuno può sembrare casuale , mi sorprese molto e mi riempì di gioia e curiosità di
poter conoscere quell’autentico mito di Alfio , grande cacciatore “ storico “ del padule .
Il maresciallo Piero Ricci e la moglie Luciana furono molto gentili e mi invitarono tante volte a casa
loro a cena e mi presentarono Alfio .
Alfio era un uomo alto e robusto , con un vocione ed una vivace intelligenza che incuteva un
profondo senso di rispetto . Ed infatti ne fui conquistato .
Parlammo per ore , un giorno di primavera , dopo pranzo , sotto la tettoia del bar che dai Ponti si
guarda il padule e la vista si perde nell’orizzonte lontano . Parlammo di caccia , ovviamente , ma
anche di agricoltura , di metodi agronomici , di arature , di grano duro , barbabietole, girasoli .
Alfio mi raccontava dei tempi in cui accompagnava i cacciatori che venivano da fuori provincia ( e
fuori regione ) per cacciare nelle sue famose botti ; ricordo ancora i nomi di alcune botti “le buche“,
“la botte di culino“ ed altre famose che dai suoi racconti a me , giovane cacciatore , sembravano
cose meravigliose .
Alfio era un uomo duro , maremmano di “ gran razza “ che aveva fatto della sua grande passione ,
un attività rinomata e redditizia .
La sua locanda dei Ponti di Badia è diventato un luogo sacro dei cacciatori che qui si
rifocillavano alla vigilia della caccia e che , prima della partenza per le botti , era tradizione bere il
mitico “ bicchierino della staffa “ che la signora Pieraccini offriva immancabilmente a tutti i
cacciatori in partenza .
Io ascoltavo affascinato i suoi racconti e gli chiedevo notizie di come fosse stato il padule quando
egli era giovane .
Alfio mi raccontò di quando i campi dietro il padule erano ancora allagati , quando il “ padule
aperto “ era ancora una distesa enorme di acqua ,gli uccelli acquatici erano talmente numerosi che ,
in certe mattinate , oscuravano il cielo !
Mi raccontava degli “ aspetti “ serali , delle migliaia e migliaia di anatre che rientravano dal mare
per cibarsi nei grassi motrigli della Botrona e del Botroncino .
Parlare con Alfio voleva dire “ sognare “ quel mondo arcaico e selvaggio , io vedevo la maremma
come la desideravo e , talmente ne ero immedesimato, ne intuivo i colori e respiravo i suoi profumi!
Che emozione provai , alcuni anni dopo , quando seppi che la famosa botte delle “ buche “ era la
botte n. 16 !! E che quel nome gli era stato dato perché quel chiaro molto profondo pare che fosse
stato creato da una bomba caduta in quel posto nell’ultimo conflitto mondiale .
Quando poi , successivamente , diventai “ barcaiolo “ e nei mesi antecedenti l’apertura della caccia
ci recavamo in padule per lo sfalcio e la preparazione dei chiari di caccia , la locanda di Alfio era
diventato il posto di ritrovo della mattina : un caffè con Ilio Lucarini , con Renato Mantovani , con
Carlino Penni , con Giotto ed il Santinelli e poi via in padule fino al tramonto !
Devo molto ad Alfio Pieraccini ed alla sua famiglia , grazie a Piero e Luciana ho conosciuto Alfio e
grazie a lui ho potuto respirare quella maremma di cui sono ancora innamorato ma che , purtroppo ,
non c’è più .
L’ultima volta che ho visto Alfio fu una dolorosa mattina nei primi mesi del 1991 davanti
all’ingresso dell’ospedale di Grosseto.
Ero seduto sulle scalette esterne dell’ospedale in attesa che
operassero la mia mamma irrimediabilmente compromessa da un male incurabile quando udii una
voce familiare forte e squillante, alzai la testa e vidi Alfio insieme a Luciana che entravano , ci
salutammo ma capii dalle parole e dall’espressione di Luciana che gravi problemi avevano minato
la salute di quel “ gigante “ maremmano , che ancora una volta i destini delle nostre famiglie
avrebbero avuto un epilogo comune , questa volta angosciante .
Mia mamma morì nel marzo del 1993 , Alfio poco tempo dopo .
Molto spesso , quando da Grosseto rientro a Scarlino , dove abito in una fattoria sul padule
omonimo , passo per la strada castiglionese e quando transito davanti alla locanda di Alfio ai Ponti
di Badia , ancora gestita dalla famiglia Pieraccini , volgo lo sguardo verso i tavolini esterni del bar ,
e rivedo Alfio e risento la sua voce e provo un sentimento di gioia perché sono convinto che lui è
ancora lì , vicino al suo padule , alle sue botti , alla sua famiglia .
Arrivederci , Alfio , mitico personaggio di un mondo che , purtoppo , non tornerà più.
AUTUNNO IN MAREMMA
Molte persone vorrebbero che l’estate non finisse mai !
Io invece che odio la calura e la confusione non vedo l’ora che venga al più presto l’autunno .
Chi , come il sottoscritto , conosce la vera maremma e l’ama devotamente , capirà .
Se per i dimoranti occasionali od anche per i tanti distratti residenti annacquati ( purtroppo sempre
più numerosi ed imbastarditi ) la fine dell’estate corrisponde con lo “ spopolamento “ della
maremma , per me e per tutti quelli della mia razza , invece , è l’esatto contrario !!
Con l’autunno la mia maremma ricomincia a vivere la sua vera stagione e si ripopola dei suoi veri
abitanti : i migratori alati , che da sempre , puntualmente , in tale periodo , arrivano sulle coste
maremmane per ripopolare boschi e paduli .
Con la fine dell’estate iniziano le prime piogge ed i paduli costieri cominciano a riempirsi di acque
nuove ; iniziano così i primi svolazzamenti di trampolieri e non è raro incontrare branchetti di
ritardatarie marzaiole che si confondono con i gremiti stormi di barazzoli di nuova entratura .
Uccelli questi , dal petto rugginoso , che denotano un inconfondibile lungo stazionamento in acque
salse che appena entrati in padule , a contatto con l’acqua dolce e fresca , si abbandonano a festanti
e lunghe risciacquate per togliersi di dosso l’oppressione del sale tonificandosi dalla stanchezza del
lungo viaggio .
E’ così che mi piace iniziare la mia stagione preferita che , con i suoi colori e con i suoi profumi
dolci e malinconici mi aprono il cuore e mi fanno stare bene , finalmente in sintonia con la mia
terra .
Il tramonto sul mare , poi , specialmente quando l’ultimo vento di calasole volta a scirocco od a
libeccio è tutto uno spettacolo ! Spesso nell’ombra del sole già morto a ponente passano fischiando i
branchi di anatre che bucano la pineta ed entrano in padule .
E’ questo il momento più magico quando , da cacciatore , immaginavo l’alba in botte , pensando
che quello sarebbe stato sicuramente il giorno più indimenticabile della mia vita , e così tante volte .
Il sibilo dei fischioni , il racanare dei germani , l’inconfondibile “ soffio “ delle ali dei branchi di
mestoloni sono musica nobile per i miei orecchi che mi riportano agli anni della caccia nella
Diaccia Botrona e mi si aprono mille volti e mille ricordi meravigliosi .
Allora , giovane cacciatore , la caccia mi scorreva nelle vene e mi riempivano di soddisfazione i
complimenti che i miei familiari mi facevano quando portavo a casa la nobile selvaggina palustre.
Ricordo che subito la nonna cominciava a pelarli ed a strinarli con grande maestria disquisendo
sapientemente sui petti grassi e sulla loro cucina .
Ancora oggi, che con la maturità sento meno il desiderio di uccidere mi reco in padule per vivere ancora
queste emozioni e tutte le volte che con lo sguardo incrocio un volo di anatre sfrecciare veloce verso il
loro destino una sottile malinconia attanaglia il mio cuore , rivedendo com’ero trenta anni fa e come sono
adesso e saluto quei folletti alati sperando che anche i miei figli possano , un giorno , apprezzare questa
meravigliosa stagione ed i suoi messaggeri .
E ringrazio il destino che mi ha fatto nascere in questa terra.
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