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Il cappello a galla di Alessandro Fulcheris
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Nel gergo degli Alpini, "mettere le scarpe al sole" è un detto reso famoso
dall'omonimo bellissimo libro di Paolo Monelli, che significa morire in
combattimento. Nel molto meno famoso gergo venatorio della mia costiera
toscana, lasciare "il cappello a galla" vuol dire cadere a caccia in un
padule profondo, dal barchino o scivolando da un argine; se poi questo
ci succede con sul groppone tutto il peso di armi, munizioni e balle
degli stampi e richiami vari la cosa, oltrechè antipatica, può
diventare pericolosa, infatti se di solito il tutto si risolve in un
bel bagno e qualche sacramento, c'è anche quello che ci ha lasciato le
penne, ma non quelle del cappello alpino: le sue!!
Tra gli altri detti cari ai cacciatori palustri spicca quello del "salto del boddo" o
dell'"abboccata".
I boddi, in Toscana, sono quei grossi panciuti rospi
che troviamo sulle strade con le prime piogge, in parte affaccendati in
un quanto mai pericoloso attraversamento; gli altri già tramutati in
sogliole dalle automobili. Il boddo è goffo, ed il suo salto è
tragicamente corto. Il salto del boddo quindi, è quando mal si calcola
la larghezza di quello che ci pare un fossetto da niente, e invece ci
si finisce fino alla cintola, fra le risate e gli sberleffi dei
colleghi.
L'abboccata è quella sgradevolissima sensazione di gelata
infiltrazione subito sotto lo scroto, e poi giù per la gamba dentro lo
stivale a coscia fino al piede, quando bastava ancora un metro per
raccogliere quel beccaccino caduto proprio al centro del laghetto.
Abboccare per una buona preda può anche andar bene, ma farlo per un
porciglione o peggio per una gallinella d'acqua è da fessi; comunque
per la verità, alzi la mano chi non gli è mai capitato. D'altronde alla
passione non si comanda, come quando il "Gebo" si spogliò e si tuffò, e
nuotò 200 metri per una coppiola di folagacce che la corrente si stava
portando in mezzo al mare.
La storia del cappello a galla è una storia
vera, protagonista il sottoscritto, lo sfondo il padule di Castiglione
della Pescaia, Grosseto, fine anni '80.
Con Giorgio, senza fare sopralluoghi preventivi ci avventurammo a buio in un posto per noi fino
a quel momento sconosciuto, in base a indicazioni molto vaghe che ci
aveva dato il Diavolo...ma non il Guardiano degli Inferi, il Diavolo è
un amico cacciatore, quello che dal suo capanno tirò giù, di quinto
colpo, un aeroplanino radiocomandato da un babbeo che voleva disturbare
la quiete del padule...ma questa la racconto un'altra volta.
Quindi, folgorati entrambi sulla via di Damasco palustre, io e giorgio,
parcheggiata la macchina e attraversata la pineta, un cielo pieno di
stelle in quella freddissima mattinata novembrina, ci trovammo a
brancolare per sguazzi e argini, fino trovare le paline della vecchia
autogestita, descritta anche dal Mazzotti nel suo "cacce di valle e di
palude". All'alba, preceduti dal consueto frusciar di ali in
avvicinamento, fummo sorvolati da un primo branchetto di fischioni, e
ne buttammo giù uno, che fù l'unico, perchè gli altri branchi,
veramente numerosi, passavano tutti parecchio lontano.
Col giorno scoprimmo che anche più in là , dove erano passati tutti quegli uccelli
si poteva cacciare: appostamenti e bossoli vecchi a terra lo
testimoniavano, ma non c'era nessuno. Gli animali di "becco
schiacciato" erano entrati forse quella notte stessa dal mare. Così,
per alcuni giorni ci divertimmo davvero, una varietà impressionante di
anatre: codoni, germani, alzavole, fischioni. Poi, inevitabilmente,
cominciammo a trovarci gente, sempre di più, fino a che bisognava
arrivare sul posto alle 2 di notte per trovare un posto che non fosse
in quarta fila.
Quella ormai famosa mattina, in compagnia di un altro
amico, tale Stenio che mi aveva corteggiato più che la sua fidanzata
affinchè ce lo portassi, prestissimo eravamo già con i piedi in guazzo.
Mattinata dolce di scirocco, poco vento, cielo nuvoloso. Mentre lui si
accoccola nella sua postazione per passare quelle due orette prima del
momento buono anche io vado al mio posto, ma non ho sonno, sono
distante da lui un cinquanta metri...mi guardo un pò intorno. Di là
dall'argine, oltre una specie di fiume, in un vascone per l'allevamento
del pesce, soltanto una luce lontana, tenue e baluginante, si
rifletteva sull'acqua. Mentre mi accendo una Camel, nel riflesso di
quella luce vedo e conto, in fila indiana, sette anatre.
Mi viene da fare una bracconata, nel vascone non si può certo cacciare, è una
follìa ma sto bruciando: se passo questo fosso e riesco a vederle
faccio una strage. Lì vicino un ombra confusa, oltre le paline, un
grosso mezzo meccanico fermo, forse una ruspa. Penso che sono le 3,30,
chi mi vede a quest'ora? A lui non dico niente, tanto starà già
ronfando. Carico dolcemente l'automatico, vecchio e fedele Breda a
mollone di tante battaglie, mi avvicino al fosso, accendo la lampadina
mirando in terra e nell'aqua, sono riparato dall'argine alto, cerco un
passaggio e quando ormai sto per rinunciare vedo un'isoletta. Con un
primo balzo ci posso arrivare, dopodichè sarà un giochetto toccare
l'altra sponda. Mi prende l'orgasmo, vedo già la faccia del mio amico,
che mi raddoppia sempre anche adesso, quando gli scodellerò 4 o 5
fischioni nel capanno, o forse colliverdi...mi sembravano belli
grossi...
Prendo 3 metri di rincorsa e salto sull'isola, che non era un
isola. Era un semplice concentrato galleggiante di cannucce e falasco.
Quell'ombra confusa, quel mezzo meccanico era una benna che aveva
appena ripulito e dragato il fosso: c'erano 3 metri di fondo.
Vado giù come un piombo, sento il gelo nei capelli; ho il fucile in una mano e
la torcia nell'altra, vado sotto un bel pò...una sensazione unica. Come
riemergo lancio il fucile sull'argine e quello, scivolando nel fango in
discesa, mi ritorna indietro di punta!! Se parte un colpo mi ammazzo
col piombo del 4, prima ancora di affogare, che soddisfazione!!
Ce la faccio ad arrivare all'argine ma non faccio presa, gli stivali pieni
d'acqua mi tirano giù a bestia, poi, non so come, riemergo grondante,
raccolgo quell'ammasso di fango che poi è il fucile, la torcia non
funziona, porto d'armi mutande sigarette cartucce, tutto fradicio.
Avanzo verso Stenio che non dormiva ed era incuriosito, aveva sentito
un grosso SPLUNF e dopo un pò uno SCIAC SCIAC SCIAC in avvicinamento:
ero io ed i miei stivali pieni d'acqua.
Nonostante le sue sollecitazioni ad andare via rimasi, gocciolante, a caccia. Quell'alba
feci uno stacco ad un fischione di quelli da cineteca, glielo bruciai
sulla testa, che veniva di dietro e lui lo vide solo cadere.
Raccogliamo la preda e ci incamminiamo, ho resistito anche troppo, lo
scirocco ha permesso di rimanere; se era grecale o tramontana lo vedi
che corsa alla macchina, forse stasera avrò la febbre, cosa importa? Un
ultimo sguardo, da lontano, alla benna, al vascone, al fosso...c'è
qualcosa laggiù, in movimento sull'acqua, un fagotto, forse...ma sì
sembra un anatra. Dietrofront, "gattonata" di 300 metri, ci avviciniamo
dietro le cannucce senza fiatare, mi tremano le gambe per la stanchezza
ma anche per la nuova emozione, ci affacciamo pronti al minimo
movimento, il respiro si fa più pesante, il dito sul grilletto...
guardiamo meglio: da dietro un cespuglio la corrente sta trasportando
lentamente il mio cappello....a galla!!!
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