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L’ultima palude di Francesco Sabatini
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Augusto scese dal fuoristrada acquistato da pochi giorni, aspirò profondamente.
Li era nato, ricordava l’odore del salmastro, il profumo del palude, il mare che
sbatteva sulla battigia: il rumore classico della risacca. Dopo anni di lavoro fuori
dal suo Paese questo gli mancava.
Il cielo era scuro, gocce di pioggia gli bagnavano il viso…accese una sigaretta,
aspirò profondamente e ritrovò le sensazioni che quel posto gli aveva sempre trasmesso.
Cercò con lo sguardo i riferimenti che erano nella sua memoria, li c’era ancora il vecchio
binario che veniva utilizzato durante il fascismo.
Si estraeva la metanite per supplire alla mancanza di ferro: un fallimento.
Cercò con lo sguardo la vecchia baracca dove gli operai che discernevano la sabbia dalla metanite
consumavano il pranzo o riponevano gli attrezzi.
Conosceva ogni angolo. Li c’erano i tamerici, dopo quella guinza d’acqua c’era un canale profondo...ricordava
i numerosi bagni involontari.
Più avanti una lingua di sabbia e dietro il piscinone. Li si buttavano le anatre quando il vento era forte.
Ripensava a quando bambino percorreva in bicicletta la strada sterrata insieme al nonno. Poi la vecchia bicicletta
veniva nascosta nel fosso e si procedeva a piedi. In silenzio attenti a non calpestare canne o qualunque cosa che
potesse disturbare le anatre che sostavano di notte nel palude.
Spesso la luna illuminava il paesaggio e quella luce gli evitava i rimproveri del nonno sempre
attento al rispetto del silenzio.
Si,gli aveva insegnato tante volte che il silenzio è assai più importante del fucile, anche del miglior cane.
Quella mattina mille pensieri, ricordi, suggerimenti gli attraversavano la mente. Aspirò profondamente
il fumo strano, intorno gli mancavano i riferimenti che da sempre avevano accompagnato i suoi
pensieri prima di prendere sonno. Quel posto per lui era come una bella donna, quella che ami e
che non smetti mai di amare e desiderare, non ne hai mai abbastanza.
Ripensò ai branchi di anatre che si buttavano sugli stampi fatti con i rami delle palme,
l’odore acre della polvere da sparo.
I rimproveri del nonno, un sorriso. Continuava a guardarsi intorno.
Aprì lo sportello posteriore per prendere il fucile, la luce dello sportello aperto illuminò
improvvisamente la strada: un cartello!
Si avvicinò per leggere: ”Parco dell’ultima palude”.
Prese la lampada e illuminò intorno. Là dove c’erano i tamerici...una villa con piscina.
Chiuse lo sportello, sedette e iniziò a singhiozzare.
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