I racconti dei cacciatori di acquatici
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L'aspetto di Michele Boschetti
Per certi cacciatori di padule "strolagare" il tempo è una recondita essenziale, avendo gli stessi acquisito negli anni, come una delle poche certezze di quest’arte, che con le condizioni climatiche avverse è più probabile fare qualche colpo.
Quella giornata era una di quelle che solamente l’autunno ti sa dare, la pioggia cadeva insistente sospinta da un ventaccio freddo, sembrava che la pioggia volesse trovare ogni pertugio per arrivare alle ossa; ma la passione si sa è la migliore mantella da indossare e nonostante tutte le angherie meteorologiche, finisci sempre per ringraziare il Creatore per averti iniettato tale droga nelle vene, per averti forgiato a tal punto che, gli elementi più sono ostici, più ti senti esaltato e libero nell’animo.

Il pomeriggio tendeva velocemente al crepuscolo favorito dai nuvolosi che sospinti dal vento si assiepavano all’orizzonte, il cammino era rallentato dalla tramontana e dall’acqua che non cessava di martoriare mani e faccia ma l’unica cosa che l’uomo sentiva nelle membra era quella sensazione di benessere che la vita quotidiana ti toglie e che solo per alcuni quest’arte ti sa ridare.

Al bar gli amici lo avevano avvertito con becera premura: “Dove vai? Ti bagni tutto e non ammazzi niente” ma lo conoscevano, sapevano dei suoi nervi d’acciaio, della sua insensibilità al freddo e alla pioggia, nonostante l’età relativamente giovane un tiratore infallibile, uno dei migliori cacciatori di acquatici del loro comune e delle zone limitrofe. Sapevano che lui facesse caccia anche nei periodi morti e adesso se lo giustificavano, la paura del buio o dell’ignoto li teneva inchiodati alla stufa, come Cristo alla croce, sicuramente qualcuno lo pensò mentre vedeva inforcare la bicicletta a quell’essere che la mantella nera gonfiata dal vento rendeva quasi irreale.

Arrivato all’arginello ripetè tutte quelle azioni che sono tipiche del cacciatore palustre, asciugo la barca come se ci dovesse dormire, sistemò i pesi per le anatre da richiamo, controllo le stampe e i fili, cose abitudinarie ripetute mille e mille volte, fatto ciò parti alla volta del capanno remando curvo sul fondo del barchino per non dare la possibilità al tenace vento di sospingerlo nella direzione opposta.
La mattina precedente alle stampe aveva incernierato tre folaghe nuove e data la stagione inoltrata per la migrazione del rallide aveva intuito che il passo non era terminato, c’era ancora speranza, senza aspettare che il freddo intenso togliesse i contingenti di anatidi dalle oasi di riposo, la giornata plumbea poi non aveva permesso agli uccelli di proseguire nel loro pellegrinaggio, la sera avrebbero cercato un posto sicuro dove rifocillarsi prima di riprendere il loro cammino.

Mentre questi pensieri gli si accavallavano nella mente un beccaccino di sfondata sulle stampe lo fece sussultare, “accidenti a te e al vento!”, disse l’uomo ridendo della sua tensione ed asciugandosi per l’ultima volta il viso con la pezzuola, dopo di che anche quel gesto sarebbe stato di disturbo per un eventuale uccello posato, ora la luce iniziava ad essere tenue ed il momento tanto agognato stava per arrivare.

Un volo sul fondo del chiaro, poi niente, lo sguardo gli si tese nel buio, poi un soffio e un altro: arrivano! In un attimo sette anatidi di diversa grandezza erano arrivato all’appuntamento, puntuali come amanti premurosi e lui c’era, lo sapeva, non sarebbe potuto mancare fosse venuto giù anche il mondo.
Il vento era calato e la pioggia aveva aumentato il suo ticchettio, nell’incerta luce l’uomo cercò di individuare la razza di appartenenza della congrega: quattro fischioni, due mestoloni ed una femmina di alzavola, la sua esperienza non gli avrebbe permesso di sbagliare, a lui che sapeva riconoscere una specie dall’altra solamente dal soffio provocato da battito delle ali.
Adesso gli uccelli passata la diffidenza iniziale cominciavano a nuotare ignari del pericolo verso un ciuffo di erba grassa e appetitosa, ma in quell’istante un gruppetto di canapiglie visto nel chiaro il movimento naturale delle loro simili e richiamate dalle anatre domestiche iniziarono a planare contro vento quasi a tiro utile.

Per gli uccelli è come per gli uomini, c’è un destino scritto penso', tre fischioni giorni prima erano arrivati al gioco mentre stava smontando dando a lui il tempo necessario per ricaricare e abbatterli tutti, due germani mattina fa invece avevano sorvolato l’appostamento mentre stava togliendo le stampe dall’acqua deridendolo quasi.
Come se un santo protettore le avesse avvertite del perielio, le canapiglie e quatrtro degli uccelli arrivati per primi si alzarono in volo senza alcun motivo apparente li avasse disturbati e sparirono ingoiati dallo scuro ancora persistente. Per gli altri tre il destino era stato meno benevolo, fiduciosi ora si stavano avvicinando alle stampe senza indugio, una fucilata alla coppia di mestoloni e una all’alzavola che aveva avuto appena il tempo di scoprire l’inganno giaceva ora inerme nell’acqua increspata dal vento vicino alle compagne dell’ultimo viaggio.

Sistemate le piume idrorepellenti del petto per dargli un giusto rigor mortis, l’uomo penso' al valore inestimabile che avessero per lui quegli uccelli. Sere prima aveva visto un filmato a casa di un amico dove in una nazione straniera stavano scaricando mazzi di acquatici sopra di un argine come se fossero barbabietolo, no! Quelle tre creature sarebbero dovute andar fiere nell’altro mondo, erano state uccise da un cacciatore che le amava più di se stesso, non da ricchi pelandroni scorrazzati sul delta di fiumi da lussuose barche ed uccise come solitamente vengono uccise le allodole.

La sera alla stufa la sua aria soddisfatta faceva presagire che anche quel giorno era stato all’altezza della situazione, ma nessuno avrebbe avuto il coraggio di chiedergli cosa avesse abbattuto, anche perché non avrebbe avuto altra risposta che un vago “qualcosa”.


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